Quando sono partita avevo una lista di idee, salvata sul tablet, relative al mio futuro e la prima era “il piano B” : un lavoro qualsiasi, una casetta sugli Appennini. Fine.
Era il mio porto sicuro.
Sapevo di poterci tornare.
Ci pensavo e mi ci vedevo pure, commessa, cameriera, qualsiasi cosa purché mi permettesse di stare in natura.
Poi.
Ad un certo punto, il viaggio é partito, quello dentro, dico.
Quello che ho temuto e rimandato negli ultimi tre anni.
Ciò che mi faceva veramente paura. {E non si trattava di autostop.}
La lezione più potente appresa a suon di pelle é stata la fiducia e questo senso di affidamento che mi porta a pensare che ogni cosa andrà ad incastrarsi ed ogni problema troverà una soluzione.
E se dovessi scrivere una lettera alla me di qualche mese fa, sarebbe questa:
Arriverà il giorno in cui capirai che é stato tutto perfetto così, che ogni laboratorio, ogni corso, incontro, libro, ogni esperienza di lavoro – per quanto fastidiosa o poco gratificante – ha avuto un senso.
Che ogni innamoramento, ogni lacrima versata – dal sagrato di Hassan II a Piazza San Francesco- é stato potente fertilizzante.
Saranno stati tutti mattoni, anzi, balle di paglia con cui ci costruirai una casa.
E le cose si incastreranno.
Si infileranno come perline.
Troveranno il loro spazio.
Abbi fede, sempre.
Respira, tappa il naso, continua a camminare, fidati del buio, fidati del buio.
Vai avanti.
Le parti di te diventeranno orchestra e nulla sarà dimenticato.
La piccola orchestra itinerante della felicità.
“Sarà così bello che manco, ora, te lo puoi immaginare.”
Ci sono notizie bomba.
Una al giorno.
Tutti i giorni.
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