Il nord del Marocco è famoso per Tangeri, per il festival d’arte di Asilah e le sue stradine bianche, per le montagne del RIF, uno dei maggiori produttori di hashish al mondo.
E poi?
Quali altri luoghi meritano di essere, quantomeno, studiati?
Quanto si conoscono Ceuta, Melilla, Nador?
Viene mai citato, sulle guide turistiche, il monte Gourugu?
Perché? Cosa accade da queste parti?
“Fino a 90 kili sulle spalle.” mi dice al telefono Andrea [Grieco] .
90 kili sono la quantità che una donna “porteadora” riesce a portare sulla schiena,
“Ma perché lo fa? Dove? Come? Chi ci guadagna?”
Ne abbiamo parlato insieme ad inizio maggio in una interessantissima diretta IG con Andrea Grieco, consulente per la sostenibilità ed esperto di diritti umani, e ne trovate il video completo sul profilo facebook di Viaggiare a piedi scalzi.
Per parlare delle donne porteadoras spostiamoci in Nord Africa.
Siamo in Marocco, eppure siamo anche in Spagna: Ceuta e Melilla.
Enclaves spagnole in terra d’Africa.
Baratto post coloniale, prolunga delle nostre frontiere occidentali.
Luogo di non controllo.

Un luogo ambiguo che crea disparità, violenza e sfruttamento ai danni delle catene più deboli della società: donne, uomini disoccupati, vedove, persone senza un’alternativa.
A Ceuta c’è un confine e al tempo stesso c’è una linea che demarca il passaggio tra i due mondi: tra gli esseri umani autorizzati a transitare “al di là”, temporaneamente, vi sono le cosidette “donne-mulo” – un insulto, orribile- che drammaticamente rende l’idea.
Sono prevalentemente donne che si occupano del passaggio di beni provenienti dalla Spagna e destinati al commercio marocchino; esse non conoscono i contenuti dei pacchi che trasportano e sono ignare che talvolta possano contenere anche materiale illecito: armi, droga, telefoni e schede rubate, alcool.
Importare materiale via terra, in particolare tramite la frontiera del Tarajal II porta un risparmio di cinque volte ai negozianti marocchini rispetto ad una spedizione normale e nessuno controlla il contenuto.
Un “non luogo” di grandi guadagna, da cui dipende la gran parte dei commerci nordafricani e che avviene nell’indifferenza e con la collaborazione della Spagna -e dunque dell’Unione Europea- ai danni dell’ultimo anello della catena sociale.
“Una portedora inizia a lavorare all’alba e finisce verso le ore 14.00. Il suo compito è quello di valicare la frontiera, recuperare i pacchi e portarli indietro e, se possibile, raggiungere, più volte, questo obiettivo in modo da guadagnare di più.”
Il reddito medio è di circa 200 dh, il corrispettivo di 20 euro, dal quale però vanno tolti il pagamento del taxi, il noleggio del carrellino e -spesso- gli effetti della corruzione da ambi i lati; quel che resta alla lavoratrice spesso non supera gli 8 euro giornalieri per un lavoro precario ed usurante di 8 ore e frequenti violenze psicologiche, fisiche e molestie.
Negli ultimi anni, l’attività di alcune organizzazioni, tra cui l’associazione per i diritti umani andalusa “APDHA” , ha portato alla luce questo problema sociale e introdotto alcuni piccoli benefici al lavoro delle donne tra cui la possibilità di munirsi di un piccolo carrellino per il trasporto dei pacchi, la presenza di bagni pubblici, una tettoia per ripararsi dal sole nei mesi più caldi.
Non accade solo questo però, in questa zona.
Come se non bastasse il Tarajal compare anche in una delle più taciute stragi del mare.
Sei febbraio 2014 è una data che probabilmente la maggior parte di noi non ha sentito sbandierare dai mass media eppure è stato un giorno drammatico.
Un gruppo di uomini di origine subsahriana ha cercato di oltrepassare il confine con la Spagna: prima via terra e poi, reagendo alla resistenza della guardia civile spagnola, buttandosi in acqua. A quel punto è proprio la polizia spagnola che, munita di proiettili di gomma e fumogeni, crea il panico in mare.
Non furono garantite le misure di sicurezza negli spari trasformando uno strumento di “dissuasione” in una vera e propria arma da fuoco e, complici le onde del mare, il risultato fu di almeno 15 morti.
L’argomento viene trattato in maniera esaustiva da un documentario “Tarajal: desmontando la impunitad en la frontera sur” reperibile gratituitamente online a questo indirizzo.
Altri materiali, molto interessanti, sono rinvenibili sul sito dell’Associazione APDHA – associacion por los derochos humanos de Andalucia con cui Andrea ha collaborato.
Un altro documentario che ho trovato valido sul tema dei migranti in transito nel nord del Marocco è “Les Sauteurs” edito da Zalab e visionabile nella sezione “Zalab partecipa” a cui spudoratamente suggerisco di aderire.
Leggere questi resoconti, informarsi e diffondere queste conoscenze è molto importante perché la distanza geografica -e mediatica- di questi avvenimenti non sia d’ostacolo.
D’altronde, è proprio questo è lo scopo dell’esternalizzazione delle frontiere: spostare i confini europei il più possibile lontano dagli occhi e dalle coscienze della società civile; risulta fondamentale reagire con consapevolezza ed attenzione, ancora e prima di tutto, nel momento dei nostri acquisti: il primo e (forse più efficace) momento in cui votare il tipo di commercio e di sistema socio-economico che vogliamo.
Concludo, dunque, ringraziando ancora Andrea Grieco, consultente per la sostenibilità, esperto di diritti umani e di migranti ambientali che potete trovare (e seguire) su IG.
Il suo è stato un contributo davvero prezioso!
