Asia

Asia fa parte, come me, della più bella community dell’Internet: Viaggio da sola perché.

La scorsa estate, è partita dalla provincia di Padova per raggiungere Madrid. A piedi. Con pochissimo denaro e l’intenzione di spostarsi prevalentemente camminando o in autostop. A 19 anni.
Io mi sono auto-proclamata la zia di quella piccola, grande viaggiatrice e sono rimasta a guardarla mentre sconfinava paesi e viveva avventure pazzesche.

Con lei io inizio questa nuova parte del blog: quella delle storie. Una al mese: viaggi pazzeschi, viaggi piccoli, viaggi per spostare il senso dei propri limiti un po’ più in là e raccontare che sì, quel sogno è possibile.

Benvenuta Asia!

Chi sei? Tanto per cominciare…. chi è Asia? Con quali parole ti definiresti?

Sono Asia, ho 20 anni e vivo in provincia di Padova (per ora). La parola che più mi descrive penso sia “Sognatrice”. Una volta più di adesso, le persone semplicemente dicevano che avevo costantemente la testa tra le nuvole. Non me la sono mai presa, perché è del tutto vero. Penso sempre a tante cose, mi immagino persone, storie, posti, conversazioni: mi diverte proprio!
Ma dietro la parola sognatrice c’è molto di più. Ci sta tutto un insieme di ideali, di speranze, di desideri che non vedono l’ora di operare nella vita reale. 

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Ci racconti il tuo viaggio, da dove sei partita? Con quale meta? Che tempi ti eri data? Dove dormivi, come ti spostavi?

Sono partita da casa mia, la casa numero civico 1 di un paesino di campagna lungo il fiume Adige.
La mia idea iniziale era di raggiungere Madrid a piedi, mi ero fissata delle mete giorno per giorno, controvoglia perché trovavo noioso programmare tutto. I miei genitori hanno insistito, per soddisfare un po’ la loro voglia di sicurezza, così li ho ascoltati, più o meno, perché ho programmato il viaggio solo fino a Saragozza. Avevo stimato che sarei arrivata a Madrid in 3 mesi, per ritornare poi in aereo o con FlixBus.

Alla fine tutto quel programmare non servì a nulla, perché tra il perdermi e i passaggi in autostop fatti un po’ “alla cieca” e i consigli degli abitanti dei posti che visitavo, che mi consigliavano di deviare, ho rispettato 4 tappe in totale, con tempi sbagliati ovviamente.

Alla fine, quei 3 mesi che mi ero data, sono diventati 3 e mezzo, ma per andare e tornare con le mie gambe e passaggi.
All’inizio pensavo che usando Couchsurfing, avrei sempre trovato dove dormire, nel caso, avevo una tenda che avrei utilizzato in extremis. Risultato: ho dormito solo 3 volte grazie a Couchsurfing, il resto invece in parrocchie, in casa di estranei, in tenda, in spiaggia e una volta sopra un camper.


E poi, la mia preferita. Perché sei partita e perché hai scelto di farlo in questo modo?
Il giorno di Capodanno del 2013 guardai il film “Into the wild”. Ne rimasi sconvolta, cominciai a documentarmi e a leggere il libro da cui era stato tratto. Parla della storia vera di un ragazzo che negli anni ’90 è partito, senza avvisare nessuno, per viaggiare in su e in giù per gli Stati Uniti, un po’ come gli girava. Fa incontri fantastici, persone che nel loro passato avevano perso qualcosa e incontrandolo questo vuoto si riempie, portandoli a cambiare. Anche il ragazzo cambia nel corso del tempo, ma sarà solo quando sarà troppo tardi, che imparerà a perdonare le persone che l’hanno fatto fuggire, e capire che la vera felicità, è quella condivisa con gli altri. Avevo 14 anni all’epoca, amai quella storia triste e sognatrice, di un ragazzo che è andato contro il volere degli altri per fare ciò che voleva, a costo della propria vita. Era un estremista, ma un sognatore, e a me questo bastava. Lui mi diede la prima lezione: se volevo qualcosa dovevo prendermela.

C’è stato un momento particolare in cui hai deciso di realizzare questo viaggio? Ha avuto un tempo di gestazione questa scelta? C’è stato un evento scatenante?
A fine agosto 2018 il mio amico Francho, un venezuelano che abita a Madrid, è venuto a trovarmi per la prima volta, rimanendo una settimana a casa mia. Quando stava per prendere l’aereo di ritorno, con una mano sulla spalla mi dice: “la prossima volta che ci vedremo, tu sarai a Madrid”.

Quella è stata la frase che ha fatto esplodere la pentola a pressione che era sul fuoco da tempo. 

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C’è stato un libro, una canzone, un testo che ti ha accompagnato in questi mesi di cammino, se sì, quale?
Non ascoltavo musica mentre camminavo, non volevo isolarmi dai suoni, anche quelli di una città trafficata. Però ho una soundtrack per ogni momento della mia vita, cosa che fa un po’ ridere, ma è così, canzoni che mi canticchio o che penso a seconda di cosa accade. Nella mia testa rimbombavano le canzoni “Hard Sun” e “Guaranteed” di Eddie Vedder. La prima mi dava la carica quando camminavo nella natura, la seconda quando ero più pensierosa.

Per quanto riguarda i libri ahimé non avevo nulla con me, ma lungo la strada ho trovato libri in quelle box “prendi e lascia un libro”, un’iniziativa grandiosa.
Ad Antibes trovai un libro che parlava di un gruppo di fratelli che fuggivano per raggiungere l’Oceano Atlantico, proprio dove dovevo andare io, mentre in Italia, al ritorno, trovai in paesino di montagna sopra Sanremo “Vagabondaggio” di Hesse e nulla è più azzeccato di ciò che c’è scritto dentro.


Il tuo viaggio rompe un sacco di tabù, hai viaggiato molto tempo, da sola, con pochi o senza soldi, affidandoti all’ospitalità della gente in un periodo storico in cui ci viene suggerito, di continuo, di non fidarci dello sconosciuto.
Cosa ne pensi? Cosa hai visto, tu, uscendo dalla famosa “zona di comfort”?

Io penso che siamo diventati davvero paranoici. Bombardati continuamente da notizie terribili, pensiamo che il mondo sia davvero disumano, e lo diventiamo noi, di conseguenza, disumani. Non ci poniamo il problema “magari ha bisogno di aiuto…potrei dare una mano” anzi molte volte pensiamo “magari è un modo per attirare l’attenzione e rubare, fare del male”. Non voglio dire che il mondo sia una favola e noi siamo pessimisti. Il mondo ha molti pericoli, è abitato da gente che fa del male, ma spesso ci sentiamo sempre sotto il mirino. Pensiamo che se rimaniamo buoni tranquilli, nella nostra casetta, tutto andrà bene perché il male è dopo il pianerottolo. Non è così. Ci sono una miriade di persone buone, persone che si danno una mano, persone che si interessano a te. Purtroppo questo non lo avrei mai saputo se fossi rimasta a casa, continuando a vedere sempre le stesse persone.

Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Fa più notizia un uomo che uccide che non una nazione che aiuta un uomo. 

foto da altura

Hai osservato delle differenze nella modalità di guardare una donna in viaggio da sola tra Italia, Francia e Spagna?
È difficile fare dell’erba un fascio. Ho trovato persone molto aperte e molto chiuse in ogni paese, ma in generale l’Italia era quella che meno concepiva il viaggio a piedi ed il viaggio in autostop, seguita dalla Spagna abituata ai pellegrini e dalla Francia che ti consiglia di fare autostop.  In Italia comunque mi sono sentita dire molte più volte che per una donna sola è pericoloso viaggiare in questa modalità. In Francia mai mi hanno chiesto perché non avevo un compagno/a. Questo però ho visto essere un po’ nel carattere dei francesi: sono gentili e ti aiutano fin dove possono, il resto è un “problema” tuo, scelte tue. Noi italiani invece poniamo domande senza pensare, ci intromettiamo, siamo curiosoni e lamentoni, ma abbiamo anche dei difetti.

Autostop. So che se ne fanno moltissimi ed ognuno è speciale a modo suo, ma c’è stato un incontro particolarmente significativo?
Forse l’incontro in autostop che più mi ha segnata è stato un passaggio mentre attraversavo la Francia al ritorno: ad un distributore di benzina mi ha preso una famiglia tedesca in camper. Erano in vacanza ed erano una famiglia abbastanza peculiare: lui uno chef parecchio razionale, lei un’insegnante di yoga hippie, le due bambine, una riservata, l’altra eccentrica. Abbiamo passato una giornata assieme, visitando una città e guidando sul lungomare, giocando a Uno e parlando tanto. La madre, Sonja, è una persona genuina, semplice, anticonvenzionale. “Sono bella, mamma?” le chiede la più piccola, e Sonja “sei bella sì, ma soprattutto bella dentro, la cosa che conta di più”. 

Sì è subito affezionata a me, perché si è identificata nel mio modo di vedere le cose e nei miei sogni. È stato un legame immediato, due anime che dovevano incontrarsi.

Era strano perché sentivo quel “non è mia madre ma lo è” e penso che lei provasse lo stesso, quando cercava momenti di affetto ma si ritraeva subito e continuava a parlare. Come è abitudine di mia madre fare con me, anche Sonja si è confidata, ha aperto il suo cuore per parlarmi dei suoi sentimenti ed i suoi problemi. Volevano farmi dormire in camper quella notte, ma per scherzo disse “nel camper o sul camper!”. In pochi minuti avevo il mio sacco a pelo sul tetto e anche se non ero comoda, ero felice.
La mattina dopo le donai una conchiglia raccolta in Spagna. Era bellissima e per la prima volta avevo pensato “è così bella che non la voglio per me, la voglio dare a qualcuno di speciale”. Avevamo le lacrime agli occhi, ci abbracciammo e prima di poter aprire i rubinetti andammo per strade diverse.
Questo Natale ho ricevuto un messaggio da lei, ce ne scriviamo come fossero delle lettere, e mi proponeva di andare a visitarli e stare con loro tutte le vacanze e mi avrebbero portato a casa loro. Il messaggio finiva con “spero tu stia facendo qualcosa di folle, con affetto, Sonja”.

galleno

La Paura. Che ruolo aveva prima, la paura, nella tua vita (se c’era) e che ruolo ha ora (se c’è)?
Sono molto giovane, abito in un posto davvero tranquillo, perciò penso che il massimo della mia Paura nella vita fosse stato di prendere un brutto voto a scuola. Non ho mai avuto particolarmente paura di qualcosa o qualcuno. Okay, sono leggermente claustrofobica ma mai arrivata a crisi di panico, giusto un po’ di ansietta.
Il giorno prima di partire, mi ero scritta su un foglio tutti i sentimenti negativi che avrei potuto provare. Solitudine, angoscia, insicurezza, fame, paura. E alla fine avevo scritto “tutto però sarà necessario, poiché farà di te una nuova Asia”
Quel foglio aveva l’unico scopo di essere letto ogni qualvolta mi trovavo in difficoltà, ma in realtà rimase per sempre sopra la mia scrivania.

La Paura vera, l’ho provata in viaggio. La prima scossa di paura era mentre discendevo una montagna ripida e mi ero ormai convinta che mi sarei rotta qualcosa. La cosa però mi appariva talmente tanto assurda che dopo i primi minuti di paura, ho smesso di pensare e ci ridevo su.
La seconda volta è stata in compagnia di uno spiacevole uomo che ci ha provato con me, facendomi sentire in trappola, facendomi pensare di saltare giù dalla finestra nel caso si fosse messa davvero male.
La terza volta è stata quando ho dormito a casa di una ragazza, la mattina non riuscivo ad aprire la porta della camera e la finestra era chiusa. IL PANICO. Sono rimasta 3 ore così, prima che la ragazza si svegliasse.

Serrature maledette.

Cosa pensi che sia cambiato in te con questo viaggio? Cosa, nel tuo futuro, verrà affrontato in modo diverso dopo questa esperienza?
Ero una delle tante persone che se una cosa non andava come programmato, se capitava un imprevisto, si abbatteva e rimuginava, e solo dopo una buona dose di nervoso reagiva. Con il viaggio, che è stato un imprevisto dopo l’altro, ho capito che posso passare alla reazione direttamente, risparmiandomi il compianto. Anche ora, quando capita un imprevisto a me o ad altri, dico “beh, si vede che non doveva andare così e ci sarà il risvolto positivo”. 

Poi parlare con gli sconosciuti. C’è un illustratore per bambini e per adulti che ancora sanno vedere con occhi di bambino, che disegna dei doodles simpatici su vari temi, la maggior parte per accrescere la propria autostima e l’amore. C’è un disegno semplice che vidi la prima volta che trovai questo artista, ed è “don’t talk to strangers”, non parlare agli sconosciuti, con il “non” tagliato. Una regola dei nostri genitori, che lui ha scritto e frantumato. Ho iniziato conversazioni e permesso agli altri di poterle iniziare. Quando sento ora quella strana spinta che mi dice “vai! Parlaci!” voglio farlo davvero. È più una sorta di “cogli l’attimo!”.

ciclisti

Cosa ti è servito davvero nel viaggio, ci sono cose che sono state punti saldi, elementi necessari… sia da un punto di vista materiale, ma anche e soprattutto immateriale.
Ciò di cui avevo bisogno era avere un gran supporto da casa, da mia madre, mio fratello e da Gaia, la mia migliore amica. Con Gaia soprattutto parlavamo di cose normali quando potevamo, non tanto del viaggio. Come se non fossi mai partita. Questo mi aiutava a sentirmi vicina a lei. 

Poi le persone che incontravo, quelle mi facevano pensare che tutto ne valeva la pena.

Il mio zaino è stato super necessario di sicuro! Lo utilizzavo anche come cuscino. Quando lo toglievo, sentivo che qualcosa di rassicurante mancava. La cosa è buffa, perché questa mancanza la sentivo molto appena lo toglievo e magari camminavo per visitare una città, mi sentivo privata di una protezione, come una tartaruga che gira senza guscio. Quando tornai a casa, nei giorni seguenti, non la sentivo quella mancanza. È lì che ho capito che il mio zaino era la mia casa, fisica almeno. Perché casa è ovunque sto bene.

C’è stato un momento da “Ma chi me l’ha fatto fare?”, come hai reagito?
Ci sono stati momenti in cui ho preso pessime decisioni dovute all’ esasperazione, tipo camminare per chilometri dietro il guardrail per poi vedersi svanire il passaggio e l’unica cosa da fare era scavalcarlo o tornare indietro. Se non fossi stata distrutta sarei tornata indietro e rifatta la strada, e scavalcare il guardrail sarebbe stato semplice se fossi alta 1.80. Ma sono 1.60 con 12 kg in più del normale e scavalcarlo per me era da pelle d’oca. In quei momenti da “ma chi cacchio me l’ha fatto fare?!” raccoglievo tutto il coraggio e le forze e scavalcavo. O così o così, perché nessuno me l’ha fatto fare se non me!

Immagino che viaggiare nel modo che hai scelto tu, ti abbia messo di fronte a molti imprevisti e cambi di “programma”, sei partita gestendo bene questo aspetto o lo hai imparato sulla strada? C’è stato un momento particolare o è stato un apprendimento lento e continuo?
La gestione degli imprevisti per me è sempre stato un problema, soprattutto se questi si mettevano in mezzo a me e qualcosa che volevo fare. Tanto nervoso, tanti pianti, e poi, finalmente ci passavo sopra.

In viaggio è stato diverso: non ricordo un momento preciso in cui è cambiato, e fino all’ultimo imprevisto un po’ di irrequietezza c’era. Però ho appreso proprio grazie al viaggio che i cambi di programma possono essere positivi, anzi, ogni volta, subito dopo o molto tempo dopo, succedeva qualcosa che mi faceva pensare “ah se invece fosse andato come previsto quella volta ora non avrei incontrato quella persona ecc.!”

Mi sono resa conto quanto ogni scelta sia fondamentale, quanto un secondo può essere rilevante. Perciò ogni ritardo od anticipo nei tempi, ogni strada sbagliata presa, col tempo non sono diventati ritardi o sbagli. Non esistono scelte buone o cattive, cose impreviste o calcolate. Esistono solo scelte e cambi di programma, ogni cosa porta a qualcos’altro e dobbiamo essere pronti a cogliere ciò che arriva.

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Il luogo più assurdo in cui hai dormito e il cibo più strano che hai mangiato?
Il tetto del camper della famiglia tedesca alternativa! Un camper di quelli vecchi, con sedili con vecchie fantasie colorate, un po’ scassato e borbottante, sapeva di vissuto. Il tetto era scomodissimo e avevo appena più in sù, accanto, i cavi di alta corrente. C’era un vento assurdo, avevo freddo e paura di rimanere fulminata, eppure le stelle erano meravigliose ed ero serena comunque. La mattina presto ero sveglia e c’erano le persone che facevano jogging che mi guardavano divertite ed io ovviamente auguravo il buongiorno!

Non ho mangiato nulla di troppo strano…ah beh, tranne quando una francese in Toscana ha fatto la pasta al ketchup: è stato l’apice delle stranezze in viaggio penso!
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Ho fatto un’esperienza che, per molti versi, è simile alla tua e mi viene in mente una domanda: la prima, avevi paura del “se l’è andata a cercare?” quando sei partita? Nel caso, come l’hai affrontata?
Mi sono sentita dire parecchie volte questa frase, da familiari e persone appena conosciute. Sono sempre stata convinta del fatto che se le cose accadono sono 30% colpa tua, per un tuo errore, e 70% pura e semplice sfortuna, o destino, disegno di Dio o comunque lo si voglia chiamare. Chi dice “se l’è andata a cercare” è una persona che ha paura in primis della sua ombra, convinta del fatto che la morte e le cose brutte si possano controllare. Ma cosa ancora più triste è che cataloga le cose pericolose e le cose sicure in base agli standard odierni. Standard che ci dicono che guidare la macchina è pericoloso ma è assurdo che non vuoi guidarla per questo. Se qualcuno guida e si schianta perché non diciamo “se l’è andata a cercare” (salvo alcune eccezioni)? Perchè guidare è normale al giorno d’oggi, eppure la gente ci muore. Prendi varie precauzioni come metterti la cintura, comprare una macchina solida, rispettare i segnali, i limiti, guidare da fenomeno. Eppure inevitabilmente qualcosa può andare storto. Io partendo ho preso varie precauzioni, mi sono informata, prendevo le decisioni con una giusta dose di razionalità ed istinto. Tutto questo mi ha salvato ma senza imprevisti. Poteva succedermi qualcosa di brutto da un momento all’altro ma evidentemente non doveva accadere. Non ho fatto nulla di più pericoloso di guidare un’auto.

E per la cronaca, se fosse accaduto qualcosa, sarei stata felice di aver almeno provato a realizzare un mio obiettivo. Nessuno ha mai fatto nulla senza rischio.

 

E per concludere: la tua comunità, la tua famiglia, i tuoi amici. E’ cambiato il rapporto con loro durante e dopo questo viaggio? Il Viaggio, in qualche modo, ha influenzato il tuo modo di relazionarti con gli altri e con chi è rimasto a casa?
Il mio viaggio è stato un bel “alla faccia tua” per chiunque fosse convinto avrei fallito, ma non m’importava, non ho mai voluto e non voglio provare nulla a nessuno se non a me stessa. Vorrei poter dire che dei rapporti sono migliorati, ed invece ne ho persi e lo sono venuta a scoprire solo una volta tornata. 

Tante persone comunque, sconosciute e conoscenti, si sono complimentate o hanno dato sostegno solo una volta che ho completato il viaggio. Penso sia molto facile elogiare qualcuno quando è andato tutto bene, è molto più difficile credere in qualcosa di incerto. Per questo apprezzo molto di più i “sono sicuro che ce la farai” ai “complimenti ce l’hai fatta” quando invece non si aveva fiducia del risultato. Vai forse allo stadio ed esulti per la tua squadra solo a fine partita in caso di vincita? Siamo tutti bravi così, ma quello che conta è crederci durante.

Questa la mappa del viaggio di Asia che ha raccontato, giorno dopo giorno, la sua esperienza sul blog: http://zugunruhe.altervista.org/
La trovate anche su IG e facebook.

mappa completa

Io non potevo che essere più felice di così: la storia di Asia come prima storia raccolta per questo nuovo cammino.  Non mi resta che augurarti: “Buona strada nipote, o meglio: buona strada, sorella!”

Barbara

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