Ho avuto bisogno di essere triste e che la musica melanconica mi accompagnasse con dietro la pioggia.
Ho avuto bisogno che tutto fosse di colore grigio.
(Utera – Lunario della Dea)
Stavo pensando che l’origine è il corpo. Se non mi fermo quando dovrei, lui si impone.
E si rompe
E’ stato così anche questa volta.
A caduta, come un ingranaggio meccanico sono saltati in aria i vari pezzi: discussioni stancanti, l’estate che si allontana senza nemmeno salutare, i dubbi alle finestre e io mi sono ritrovata triste. Guardavo fuori dalla finestra e il grigio aveva riempito tutto. Abito su una distesa infinita di prati verdi e, di colpo, era tutto grigio.
Così fuori così dentro.
Sono stati solo alcuni giorni ma per l’intensità con cui io li ho vissuti mi sono sembrati eterni, disarmanti, caotici nel loro essere nebulosi.
Segno di fuoco, mi son sempre sentita a mio agio nella rabbia fino a che non mi sono accorta di starmi bruciando da sola in un atto di suicidio energetico. Non era più azione. Era un bruciare benzina con il solo gusto di sentire il rombo del motore.
La tristezza mi ha sempre fatto paura. Mi fa paura ancora un pò perché non produce “cose”.
Quel suo essere grigia e pesante come la nebbia. Quel suo appendersi alle scapole e tirare verso il basso. Quella sua capacità di allearsi con l’ottobre e il buio.
Pare ingenua, la tristezza… quando invece è come una di quelle persone che ti inchiodano in un monologo senza pause da cui non riesci a svincolarti. Sanguisughe energetiche. Aggressive col sorriso.
Riporta dentro, però.
Riporta alla lentezza, anche.
Era un venerdì sera quando ho sentito che mi sarei arresa. Ero triste e basta.
Avrei fatto le mie cose in modo triste. Avrei scritto di tristezza. Avrei guardato il mondo con occhi tristi. Avrei dormito molto e bevuto poco. Avrei pianto sotto la doccia e ascoltato canzoni deprimenti, per farlo più forte.
Mi sono sentita lasciare andare a delle braccia immense e morbide, quelle della tristezza. Grigie, ricoperte di velluto ma materne, a loro modo accoglienti.
Non era poi così grave, non sarebbe successo poi niente di che. Ero solo triste.
Si può essere tristi. E’ un atto rivoluzionario, per qualcuno, ed é anche meno faticoso che provare rabbia.
Si può rispondere “Male” alla domanda “Come va?”.
Si può e forse si deve.
Quando non si hanno altre risorse.
Quando forse va bene così, attraversare il buio, piano, piano. Ricordandosi del bello seminato fuori. Ricordandosi della propria immagine felice stagliata contro il cielo blu tunisino mentre si scappa dalle giornate invernali sempre più corte.
Tentativo inutile, tanto arrivano lo stesso.
E in questo arrendersi all’inevitabile, c’è il seme del benessere.
Morte, Vita, Morte, Vita. Intrinsecabilmente connesse.
Eccolo nella notte: Il primo punto di luce del mattino.
Da queste parole è nato un cardigan semplice perché é da me, é da ciò che so fare che devo partire e ripartire; ha dei fili d’argento nella trama perché portatore di LUCE e beige, che è la versione “terra” del grigio nebbia tristezza.
E’ in vendita a chi si trova esattamente a questo punto e mi scrive in privato.
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